Si consolida la giurisprudenza secondo cui l’obbligo di attivare la mediazione, in caso di opposizione a decreto ingiuntivo, spetta al creditore opposto pena la revoca del decreto ingiuntivo: a prendere le mosse dalla sentenza della Cassazione dell’anno scorso – che, invece, aveva addossato l’onere sul debitore opponente – non c’è solo il tribunale di Firenze e il giudice di Pace di Taranto, ma anche il tribunale di Busto Arsizio [1].
L’intervento della Suprema Corte non è riuscito a definire il forte contrasto giurisprudenziale sull’obbligo della mediazione in caso di opposizione a decreto ingiuntivo. La questione continua a dividere i giudici e, soprattutto, a gettare incertezza tra le parti e i rispettivi avvocati. La posta in gioco è altissima. Infatti:
- se si deve ritenere che l’attivazione della mediazione spetti al creditore opposto, il mancato esperimento del tentativo comporta la perdita di efficacia del decreto ingiuntivo e la definitiva liberazione del debitore dall’obbligo di pagamento;
- se, al contrario, si deve ritenere che l’attivazione della mediazione spetti al debitore opponente, la mancata attivazione della mediazione comporta l’improcedibilità dell’opposizione e, quindi, la conferma definitiva (e non più contestabile) del decreto ingiuntivo.
Insomma, è proprio dalla soluzione di questo preliminare aspetto di procedura che dipende la sorte della causa. Sicché, come abbiamo già ribadito in queste stesse pagine, posta l’attuale incertezza, sarebbe auspicabile che fosse il giudice stesso, nell’ordinanza di rimessione delle parti innanzi all’organismo di mediazione, a esplicitare il proprio orientamento, specificando a carico di chi sia l’attivazione della mediazione.
Il dubbio interpretativo relativo a sapere chi sia la parte onerata di attivare la mediazione obbligatoria nelle cause di opposizione a decreto ingiuntivo deriva dal fatto che la legge prevede che la condizione di procedibilità non si applica “nei procedimenti per ingiunzione, inclusa la fase di opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione”. Non vi è dubbio che il creditore che chiede un decreto ingiuntivo non sia obbligato a tentare la mediazione prima del deposito del ricorso, ma dopo l’opposizione e la decisione sulla provvisoria esecutività chi è onerato di attivare (e partecipare) al tentativo di mediazione?
La Cassazione, l’anno scorso, seguita poi da numerosi tribunali aveva ritenuto di dover accollare l’onere sul debitore opponente. E ciò perché, seppur nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, il ruolo di attore sostanziale lo ha il creditore opposto, è vero che tale regola riguarda solo l’onere della prova e dunque la fase istruttoria. Nulla cambia invece per le fasi introduttive e preliminari al giudizio, tant’è che nessuno mette in dubbio che il contributo unificato lo debba pagare il debitore opponente.
Seguendo la linea della Suprema Corte, in caso di mancato assolvimento della condizione di procedibilità, il giudice deve dichiarare l’improcedibilità e il decreto ingiuntivo diviene definitivo e acquista efficacia esecutiva se non ne era già munito.
Opposta è la tesi del Tribunale di Busto Arsizio secondo cui la tesi della Cassazione è di “dubbia compatibilità” con il diritto alla difesa garantito dalla Costituzione, in quanto renderebbe la mediazione una sorte di sanzione nei confronti di chi agisce in giudizio e fa valere le proprie ragioni.
Ecco allora che il Tribunale conclude che nei giudizi di opposizione a decreto ingiuntivo, l’onere di attivare la mediazione incombe sul creditore opposto, “atteso che egli riveste la natura di parte attrice e che l’azione cui si riferisce la citata norma è la domanda monitoria, non già l’opposizione a decreto ingiuntivo emesso in accoglimento della stessa”.
La sentenza
Tribunale di Busto Arsizio, sez. III Civile, sentenza 21 ottobre 2015 – 3 febbraio 2016, n. 199
Giudice Pupa
Motivi di fatto e di diritto della decisione
In via preliminare, deve dichiararsi l’improcedibilità della domanda azionata in sede monitoria per la mancata adesione, da parte della Banca creditrice, alla procedura di mediazione obbligatoria prevista dal D,Lgs. n. 28/2010 quale condizione di procedibilità per le controversie in materia di contratti bancari.
Com’è noto, l’eccesso di domanda di giustizia civile in Italia è un problema di cui il legislatore ha preso coscienza solo negli ultimi anni, come si evince dalle ultime riforme che pare abbiano finalmente introdotto nel nostro ordinamento un
certo “favor” per la conciliazione delle vertenze; basti pensare, tra l’altro, all’introduzione dell’art. 185-bis C.P,C., che impone al Giudice di formulare ipotesi transattive fino all’udienza di precisazione delle conclusioni, traendo elementi di valutazione dal successivo comportamento delle parti sul punto, nonché alla recentissima riforma che ha introdotto i nuovi istituti del trasferimento alla sede arbitrale di procedimenti pendenti avanti I’A.G. e della negoziazione assistita dall’avvocato per le controversie in materia
In questa ottica non possono ritenersi legittime quelle condotte tenute dalle parti per aggirare l’applicazione effettiva della normativa in materia di mediazione, suscettibili di frustare la finalità stessa dell’istituto, che non può essere quella di introdurre una sorta di adempimento meramente “ritardante” dell’introduzione di determinate categorie di giudizi, bensì quella di condurre i contendenti ad incontrarsi in un “terreno neutro” per “mettere sul tappeto” tutte le questioni pendenti tra loro, magari anche quelle che non sarebbero portate all’attenzione del Giudicante ma che spesso ostacolano il componimento della lite in sede giudiziale.
La mediazione disposta dal Giudice in caso di mancato espletamento della stessa in data anteriore all’instaurazione di un giudizio vertente su una delle materie menzionate dal D.lgs. n. 28/2010 non deve essere vissuta dalle parti come la mera rimozione di un causa dì improcedibilità, ossia un come un formale adempimento burocratico svuotato di ogni contenuto funzionale e sostanziale, ma come un’occasione per cercare una soluzioneextra giudiziale della loro vertenza in tempi più rapidi ed in termini più soddisfacenti rispetto alla risposta che può fornire il Giudice con la sentenza, atto che può formare oggetto di impugnazione e che, in caso di mancata attuazione spontanea da parte del soccombente. richiede un’ulteriore attività esecutiva, con conseguente dispendio di tempo e denaro. Ne deriva che non può considerarsi soddisfatta la condizione di procedibilità di cui all’art. 5 del D.lgs. n. 28/2010 in presenza di condotte elusive del dettato normativo e della ratio legis.
Questo Giudice, pertanto, aderisce all’orientamento delineato dal ‘Tribunale di Firenze con l’ordinanza del 19/03/2014, che sottolinea l’importanza di chiarire alle parti come debba essere eseguito l’ordine del Decidente ai tini del perfezionamento della condizione di procedibilità, pervenendo alla conclusione che detta procedura debba essere svolta con la partecipazione personale dei contendenti e sostanziarsi in un effettivo tentativo di mediazione. Sul punto scrive il Tribunale di Firenze:
“A tale conclusione si giunge in base ad un’interpretazione teleologica delle norme che vengono in campo.
L’art. 5, comma 5 bis dlgs. n. 28/2010. dispone: “Quando l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità delladomando giudiziale la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l’accordo”.
L’art. 8 , in tema di ‘procedimento’, dispone “1. All’atto della presentazione della domanda di mediazione, il responsabile dell’organismo designa un mediatore e fissa il primo incontro tra le parti non oltre trenta giorni dal deposito della domanda. La domanda e la data del primo incontro sono comunicate all’altra parte con ogni mezzo idoneo ad assicurarne la ricezione, anche a cura della parte istante. Al primo incontro e agli incontri successivi, fino al termine della procedura, le parti devono partecipare con l’assistenza dell’avvocato. Durante il primo incontro il mediatore chiarisce alle parti la finzione e le modalità di svolgimento della mediazione. Il mediatore, sempre nello stesso primo incontro, invita poi le parti e i loro avvocati a esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione e. nel caso positivo, procede con lo svolgimento’
Come si vede le due norme sono formulate in modo ambiguo: nell’art, 8 sembra che il primo incontro sia destinato solo alle informazioni date dal mediatore e a verificare la volontà di iniziare la mediazione. Tuttavia, nell’art. 5, comma 5 bis. si parla di “primo incontroconcluso senza l’accordo”.
Sembra dunque che il primo incontro non sia una fase estranea alla mediazione vero e propria: non avrebbe molto senso parlare di ‘mancato accordo’ se il pruno incontro fosse destinato non a ricercare l’accordo tra le parti rispetto alla lite, ma solo la volontà di iniziare la mediazione vera e propria.
A parte le difficoltà di individuare con precisione scientifica il confine tra la fase cd preliminare e la mediazione vera e propria (difficoltà ben nota a chi ha pratica della mediazione), data la non felice formulazione della norma, appare necessario ricostruire la regola avendo presente lo scopo della disciplina, anche alla luce dei contesto europeo in cui si inserisce (direttiva 2008/52/CE)
In tale prospettiva, ritenere che l’ordine del giudice sia osservato quando i difensori si rechino dal mediatore e, ricevuti i suoi chiarimenti su funzione e modalità della mediazione (chiarimenti per i quali i regolamenti degli organismi prevedono nati un tempo molto limitato), possano dichiarare il rifiuto di procedere oltre, appare una conclusione irrazionale e inaccettabile.
Si specificano di seguito i motivi:
A. i difensori, definiti mediatori di diritto dalla stessa legge, hanno sicuramente già conoscenza della natura della mediazione e delle sue finalità. Se cosi non fosse non si vedecome potrebbero fornire al cliente l’ informazione prescritta dall’art. 4, comma 3, del d lgs 28/2010, senza contare che obblighi informativi in tal senso si desumono già sui piano deontologico (art. 40 codice deontologico ). Non avrebbe dunque senso imporre l’incontro tra i soli difensori e il mediatore solo in vista di un’Informativa.
B. la natura dello mediazione esige che siano presenti di persona anche le parti.’ l’istituto mira a riattivare la comunicazione tra i litiganti al fine di renderli in grado di verificare la possibilità di una soluzione concordata del conflitto: questo implica necessariamente che sia possibile una interazione immediata tra le parti di fronte al mediatore. L’assenza delle parti, rappresentate dai salì difensori, dà vita ad altro sistema dì soluzione dei conflitti, che può avere la sua utilità, ma non può considerarsi mediazione. D’altronde. questa conclusione emerge anche dall’interpretazione letterale: l’ars. 5. comma 1-bis e l’art. 8 prevedono che le parti esperiscano il (o partecipino al) procedimento mediativo con l’assistenza degli avvocati’, e questo implica la presenza degli assistiti.
C. ritenere che la condizione di procedibilità sia assolta dopo un primo incontro, in cui il mediatore si limiti a chiarire alle parti la funzione e le modalitàdi svolgimento della mediazione, vuol dire in realtà ridurre ad un’ inaccettabile dimensione notarile il ruolo del giudice, quello del mediatore e quello dei difensori. Non avrebbe ragion d’essere una dilazione del processo civile per un adempimento burocratico del genere. La dilazione si giustifica solo quando una mediazione sia effettivamente svolta e vi sia stata data un’effettiva chance di raggiungimento dell’accordo alle parti. Pertanto occorre che sia svolta una vera e propria sessione di mediazione. Altrimenti, si porrebbe un ostacolo non giustificabile all’accesso alla giurisdizione. (.).
E. L’ipotesi che la condizione si verifichi con il solo incontro tra gli avvocati e il mediatore per le informazioni appare particolarmente irrazionale nella mediazione disposta dal giudice: in tal caso, infatti, si presuppone che il giudice abbia già svolto la valutazione di ‘mediabilità’ del conflitto (come prevede l’art. 5 cit.: che impone al giudice di valutare “la natura della causa, lo stato dell’istruzione e il comportamento delle parti, e che tale valutazione si sia svolta nel colloquio processuale con i difensori. Questo presuppone anche un’adeguata informazione ai clienti da parte dei difensori. inoltre, in caso di lacuna al riguardo, lo stesso giudice, qualora verifichi la mancata allegazionedel documento informativo, deve a sua volta informare la parte della facoltà di chiedere la mediazione. Conte si vede dunque, sono previsti plurimi livelli informativi e non è pensabile che il processo venga momentaneamente interrotto per un ‘ulteriore informazione anziché per un serio tentativo di risolvere il conflitto.
F. Da ultimo. può ricordarsi che l’art. 5 della direttiva europea citata distingue le ipotesi in citi il giudice invia le parti in mediazione rispetto all’invio per una semplice sessione informativa: un ulteriore motivo per ritenere che nella mediazione disposta dal giudice, viene chiesto alle parti (e ai difensori) di esperire la mediazione e cioè l’attività svolta dal terzo imparziale finalizzato ad assistere due o più soggetti nella ricerca di un accordo amichevole (secondo la definizione data dall’art. 1 del d.lgs. n. 28/2010) e non di acquisire una mera informazione e di rendere al mediatore una dichiarazione sulla volontà o meno di iniziare la procedura mediativa.
Alla luce delle considerazioni che precedono, il giudice ritiene che le ambiguità interpretative evidenziale vadano risolte considerando quale criterio fondamentale la ragion d’essere della mediazione, dovendosi dunque affermare la necessità che le parti compaiano personalmente (assistite dai propri difensori come previstodall’art. 8 d.lgs. n. 28/2010) e che la mediazione sia effettivamente avviata.
Questo Giudice è consapevole dell’emissione della sentenza n. 24629 del 03/12/2015 della terza sezione civile della Cassazione in materia di mediazione nell’ambito del procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo, ma intende disattenderla per le motivazioni sotto esposte.
In particolare, in detta sentenza la Suprema Corte parte dal principio, sostanzialmente condivisibile, secondo cui “L’onere di esperire il tentativo di mediazione deve allocarsi presso la parte che ha interesse al processo e ha il potere di iniziare il processo. Nel procedimento per decreto ingiuntivo cui segue l’opposizione, la difficoltà dì individuare il portatore dell’onere deriva dal fatto che si verifica una inversione logica tra rapporto sostanziale e rapporto processuale, nel senso che il creditore del rapporto sostanziale diventa l’opposto nel giudizio di opposizione”.
Prosegue tuttavia la Corte:”questo può portare ad un errato automatismo logico per cui si individua nel titolare del rapporto sostanziale (che normalmente è l’attore nel rapporto processuale) la parte sulla quale grava l’onere. Ma in realtà – avendo come guida il criterio ermeneutico dell’interesse e del potere di introdurre il giudizio dicognizione- la soluzione deve essere quella opposta.”
Partendo dal presupposto che attraverso il ricorso monitorio l’attore abbia scelto la linea deflativa coerente con la logica dell’efficienza processuale e della ragionevole durata del processo, cui si contrappone la scelta dell’opponente di introdurre il giudizio di merito, cioè la soluzione più dispendiosa, osteggiata dal legislatore. la Cassazione perviene alla conclusione che su quest’ultimo debba gravare l’onere della mediazione obbligatoria “perché è l’opponente che intende precludere la via breve per percorrere la via lunga”.
Tale orientamento giurisprudenziale risulta, tuttavia, di dubbia compatibilità con il principio costituzionale sancito dall’art. 24 Cost., in quanto appare ricollegare l’onere di intraprendere la mediazione alla scelta della parte di instaurare un giudizio di opposizione avverso un provvedimento reso in assenza di contraddittorio e sulla base di un’istruzione sommaria, quasi come se la mediazione fosse una sorte di sanzione nei confronti di chi agisce in giudizio. Essa, inoltre, non appare compatibile con la stesso orientamento consolidato dalla Suprema Corte, secondo cui nel giudizio ex art. 645 C.P.C. l’opposto riveste la natura sostanziale di attore e l’opponente di convenuto (Cass. civ., sez. Il, 1710412012, n. 6009), così come non sussiste alcun dubbio in ordine alla unicità del processo in cui confluiscono la fase monitoria e quella dì cognizione che si apre con l’opposizione (Cass. civ., sez. 11, 26/06/2010, n. 14764). Pertanto, se a norma dell’art. 5, 1-bis, del D.Lgs n. 28/2010 e successive modifiche: “chi intende esercitare In giudizio un’azione relativa a una controversia in materia di (…) contratti bancari e finanziari, è tenuto, assistito dall’avvocato, preliminarmente a esperire il procedimento di mediazione ai sensi del presente decreto (…)” , fermo restando il disposto del comma 4 per i procedimenti monitori, deve concludersi che tale onere incomba sul creditore opposto, atteso che egli riveste la natura di parte attrice e che l’azione cui si riferisce la citata norma è la domanda monitoria, non già l’opposizione al decreto ingiuntivo emesso in accoglimento della stessa.
Ne consegue che deve disporsi la revoca del decreto ingiuntivo n. 1574,2014 emesso il 1410412014 dal Tribunale di Busto Arsizio, posto che il mancato perfezionamento della condizione di procedibilità della mediazione comporta l’improcedibilità non già dell’opposizione, bensì della domanda monitoria.
Deve, infine, respingersi la domandarisarcitoria avanzata dagli opponenti ai sensi dell’art. 96. 1° e 3° comma, C.P.C. in quanto la mancata attivazione della procedura di mediazione ha comportato l’improcedibilità della domanda monitoria senza che sia stato possibile esaminare la fondatezza o meno della stessa nel merito e, d’altro canto, l’individuazione della parte tenuta all’espletamento del predetto incombente e questione controversa in giurisprudenza. Alla soccombenza dell’opposta consegue il suo obbligo di rifondere le spese processuali sostenute dalla controparte nell’importo liquidato in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale di Busto Arsizio, definitivamente pronunziandosi, cosa dispone:
1) Dichiara l’improcedibilità della domanda azionata dalla … nei confronti di …
2) Revoca il decreto ingiuntivo n. 157412014 emesso da questo Tribunale il 1410412015;
3) Rigetta la domanda risarcitoria avanzata dagli opponenti ex art. 96 C.P.C.;
4) Condanna l’opposta alla rifusione delle spese di lite sostenute dall’opponente nell’importo di E 5.300, di cui E 5.000 per compensi, oltre accessori di legge.
Voglia l’Ecc.mo Tribunale adito, contrariis rejectis, così giudicare: In via preliminare:
ACCERTARE la nullità dei ricorso per decreto ingiuntivo presentato dall’opposta, inquanto, la domanda avanzata risulta di oggetto indeterminato e comunque non supportata da elementi probatori;
Nel merito:
– ACCERTARE E DICHIARARE la nullità dei contratto di finanziamento per l’applicazione degli interessi trimestrali, e conseguentemente rideterminare l’ammontare degli interessi in ragione del saggio legale, senza capitalizzazione, a partire dall’inizio dei singoli rapporti contrattuale in essere con la banca, fino alla loro chiusura;
– ACCERTARE e DICHIARARE la nullità della Commissione di Massimo Scoperto e delle spese commissioni e remunerazioni non preventivamente concordate in relazione al rapporto di finanziamento n. 3160509:
– ACCERTARE e DICHIARARE, per effetto della declaratoria di nullità dei contratto impugnato, previa rettifica dei saldo contabile, l’esatto dare- avere tra le parti dei rapporti sulla base della ríclassificazione contabile dei medesimi in regime di saggio legale, senza capitalizzazioni, con eliminazione di non convenute commissioni di massimo scoperto e di interessi computati sulla differenza in giorni tra la data di effettuazione delle singole operazioni e la data della rispettiva valuta;
– DETERMINARE il Tasso Effettivo Globale (T.E.G.) degli indicati rapporti bancari;
– ACCERTARE e DICHIARARE, previo accertamento dei Tasso EffettivoGlobale, la nullità e l’inefficacia di ogni e qualsivoglia pretesa della convenuta banca per interessi, spese, commissioni, e competenze per contrarietà al disposto di cui alla legge 7 marzo 1996 n. 108, perché eccedente il c.d. tasso 11 soglia nel periodo trimestrale di riferimento, con l’effetto, ai sensi degli artt. 1339 e 1419 c.c., della applicazione dei tasso legale senza capitalizzazione;
– CONDANNARE la … rioccreditare tutte le somme ingiustamente
addebitate e percepite sul contratto di finanziamento, per anatocismo ed usura, ed a restituire in favore degli attori le somme che ci si riserva di
quantificare nel corso dell’espletando istruttoria, salva la maggior o minor somma che verrà accertata in corso di causa anche a mezzo della richiesta CTU contabile, oltre gli interessi legali a far data dalla costituzione in moro; – CONDANNARE la banca convenuta al risarcimento dei danni patiti dagli
attori, in relazione agli artt. 1337, 1338, 1366, 1376 c,c., da determinarsi in via equitativa;
– CONDANNARE la banca convenuta ex art. 96 cpc
– CONDANNARE in ogni caso le parte soccombente al pagamento delle spese e competenze di giudizio oltre CPA ed IVA, con distrazione in favore dei sottoscritto procuratore antistatorio.
IN VIA ISTRUTTORIA:
A) Si chiede che venga disposta consulenzatecnico contabile tesa a stabilire.
1) le modalità di calcolo degli interessi dall’inizio dei contratto di finanziamento di cui è causa, il T.E,G. applicato e la sua comparazione con quello previsto dalla Legge, evidenziando i trimestri in cui il tasso applicato dalla Banca ha superato il c,d. tasso di soglia usura ai sensi della Legge 108/1996;
2) l’esatto saldo del contratto di finanziamento n. 3160509 previa epurazione delle somme illegittimamente addebitate dalla Banca (compresa lo commissione di massimo scoperto) e ricalcolo ai sensi dell’art. 117 T.U.B. e/o di ogni altro riferimento normativo inerente la fattispecie per cui è causa.
Fonte: www.laleggepertutti.it
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